
Giacomo Ceruti ... detto il Pinturicchio (1698 - 1760)
Pinacoteca Civica Tosio Martinengo - Brescia
XVIII secolo
Tela cm. 131 x 146
In un angolo di un cortile di un modesto vicolo una lavandaia, abbigliata con poveri cenci, è occupata a lavare i panni presso una fontana pubblica.
Il suo volto mostra i segni di una vita fatta di stenti e dalle rughe delle mani traspare la fatica del misero lavoro.
Alle sue spalle un fanciullo, forse il figlio, trasporta i panni da stendere, posti sopra un bastone.
Lo stile dell'opera si avvicina a quello de I DUE DISGRAZIATI, del 1740, conservata nello stesso museo bresciano.
La riscoperta del Ceruti nel secolo scorso si deve alla presenza de LA LAVANDAIA alla mostra sul Sei-Settecento allestita a Firenze nel 1922, e oggi la critica è concorde nel considerarlo uno degli artisti più geniali del suo tempo che conclude il filone realistico della pittura lombarda.
Insieme a un cospicuo numero di altre opere del Ceruti, il quadro era all'origine esposto nella prima sala della galleria del Palazzo Fenaroli a Brescia; quando nel 1882 l'intera collezione venne messa all'asta, LA LAVANDAIA fu acquistata dal pittore bresciano T. Filippini che prima di morire, nel 1914, la legò al museo civico della sua città.
Giacomo Ceruti, detto Il Pinturicchio, nacque a Milano il 13 ottobre 1698.
Sposatosi nel 1717 con Matilde Carrozza, molto più vecchia di lui, l'artista divise la sua vita fra la moglie e l'amante Matilde de Angelis da cui ebbe anche dei figli.
La famiglia Ceruti è per la prima volta documentata a Brescia nel 1711 dove l'artista ricevette diverse commissioni per dipinti destinati all'aristocrazia locale.
Della sua produzione giovanile si hanno sommarie notizie e solo in anni recenti la critica gli ha attribuito alcune pale d'altare di modesta fattura.
Il suo talento emerge nella produzione ritrattistica fortemente influenzata dallo stile di Fra Galgario e dei pittori attivi in questo campo a Milano, così come dimostra il ritratto del conte Giovanni Maria Fenaroli (1724).
Affascinato dagli interessi pauperistici, Ceruti si concentrò soprattutto a raffigurare il mondo dei poveri e dei diseredati, illustrato con intento di denuncia sociale e di rappresentazione della realtà al di là di facili intenti moraleggianti, che l'artista narra con un lucido naturalismo derivante dalla formazione lombarda.
Le sue tele popolate da pitocchi, contadini, servi e popolani erano amate e ricercate dagli aristocratici e molte di queste erano presenti nelle collezioni degli Avogadro, dei Fenaroli e dei Barbisoni.
Il Ceruti operò anche fuori dai confini bresciano e la sua presenza è segnalata in molte città dell'Italia settentrionale: nel 1736 è a Venezia dove subì il fascino del "Chiarismo" della pittura di Sebastiano Ricci e del Tiepolo.
Fino al 1740 è documentato a Padova e, dopo un soggiorno a Milano, nel 1743 è a Piacenza.
Il Ceruti morì nel 1760.